Fegato grasso, uno studio barese per la diagnosi precoce delle alterazioni funzionali

Un’importante ricerca sulla steatosi epatica dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” è stata pubblicata sulla rivista internazionale European Journal of Internal Medicine.

Coordinato da Piero Portincasa, docente del Dipartimento di Medicina di Precisione e Rigenerativa e Polo Jonico dell’Università di Bari, e condotto in collaborazione con Paula Macedo, docente del gruppo di ricerca dell’istituzione portoghese Associação Protectora dos Diabéticos de Portugal, lo studio è incentrato sullo sviluppo di tecniche non invasive per la prevenzione primaria e secondaria della steatosi epatica, anche conosciuta come “fegato grasso”.

La steatosi epatica non alcolica, spesso associata a obesità, sovrappeso, diabete e altre patologie metaboliche, è una malattia cronica del fegato molto frequente, che in alcuni casi può evolversi in forme più gravi come fibrosi, cirrosi ed epatocarcinoma.

Dai risultati dello studio è dimostrato che l’iniziale accumulo di grasso nel fegato a livello epatico comporta la ridotta estrazione e metabolizzazione di specifiche molecole marcate con l’isotopo stabile non radioattivo “13C”; attraverso l’ingestione, le molecole sono trasportate dall’intestino verso il fegato e l’isotopo può essere misurato nel respiro. Questo dato, con l’utilizzo dei cosiddetti breath test e un’attenta valutazione internistica dell’asse metabolico intestino-fegato, consente di diagnosticare alterazioni epatiche ancora in fase sub-clinica.

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Pubblicato il 04 gennaio 2023